Fino a qualche mese fa non avrei mai pensato di veder esplodere così rapidamente il mercato del delivery, come in realtà poi è accaduto, complici le restrizioni per contrastare la diffusione del virus, anticipando forse quello che stava già accadendo seppur con tempistiche e modalità molto diverse.
Il 2020 infatti, da un lato ha “costretto” titolari e gestori di attività di ristorazione ad attivarsi nell’effettuare la consegna a domicilio, dall’altro aveva pronto un fertile substrato di competenze ed innovazioni digitali che hanno permesso al delivery di fare un salto quantico in avanti, premiando chi ci aveva visto lungo e di questo si era reso pioniere già in tempi non sospetti, ma anche coloro che si sono attivati sin dai primi mesi dal diffondersi della pandemia, strutturandosi per fornire un servizio a domicilio pensato, organizzato e profittevole.
Di contro, ancora oggi, ad oltre un anno di distanza, c’è chi attende il ritorno alla “normalità”, quando appare ormai evidente che il nostro settore ha subito un’evoluzione che l’ha mutato in profondità ed in modo irreversibile.
Ho utilizzato volutamente il termine “subito” perché è questo che riscontro ogni giorno parlando con molti titolari e gestori: antichi Neanderthal che puntano ancora sul “ho sempre fatto così” unito a “appena finisce il virus, tornerà tutto come prima”. Sia chiaro, ogni singola attività del nostro settore è stata colpita più duramente che mai, con ripercussioni enormi sulle persone e sulle famiglie che di quelle attività vivevano; lo sappiamo bene perché siamo tra quelle persone e quelle famiglie. Eppure, la storia ci insegna che a fronte di un processo evolutivo esistono solo due possibili reazioni: chi fa resistenza, ed appunto lo subisce, e chi invece lo cavalca. La storia ci insegna anche come va a finire: Darwin docet.
Comprendendo dunque il senso di frustrazione ed impotenza che ci sta portando questo periodo, siamo assolutamente persuaso che la risposta non sia nelle proteste del movimento “#ioapro”, quanto invece nell’assunzione delle responsabilità legate alla gestione del nostro locale, che dobbiamo slegare dalle sorti del settore.
Ecco perché, come diciamo da Maggio 2020, è necessario, tra le altre cose, strutturare un servizio delivery per renderlo un asset, strategico e profittevole, della nostra attività. Una vera e propria business unit, con un conto economico, un canale di acquisizione clienti, procedure operative e campagne marketing, pensate e strutturate specificatamente.
Naturalmente, nello scrivere questi pensieri in modo così categorico, non ci basiamo solo su personali congetture, ma essenzialmente su dati concreti, i quali evidenziano, ad esempio, che il settore del food delivery, negli ultimi 3 anni, è cresciuto del 300%, e l’ha fatto in modo progressivo, pertanto non spinto esclusivamente dai vari lockdown. Mai fino ad ora, nel mondo della ristorazione, un trend aveva registrato un simile riscontro.
Un altro presupposto su cui ci basiamo, deriva da un’indagine Doxa, dalla quale emerge che tra i prodotti più desiderati e più ordinati dagli italiani, subito dopo la pizza, che ovviamente è salda al primo posto, troviamo la colazione e l’aperitivo. Nelle posizioni successive, i primi e secondi piatti ordinati al ristorante, e nuovamente due prodotti distintivi del bar, ovvero il gelato e la birra.
A fronte di un trend di crescita così marcato, e di un mercato così ampio (valore potenziale di 2,5 miliardi di euro), ma al contempo specificatamente rivolto a prodotti facenti parte del nostro core business, sarebbe oggettivamente folle non cavalcare l’onda in attesa di un ritorno “alla normalità”.
Ci teniamo tuttavia a sgombrare il campo da ogni dubbio, il delivery non è la soluzione a tutti i nostri problemi. Rappresenta un tassello di una rivisitazione complessiva del nostro locale che dobbiamo fare partendo da noi stessi, ovvero dal nostro atteggiamento mentale. In un periodo così sfidante non possiamo rimanere seduti ad aspettare ristori, che già sappiamo saranno insufficienti, o peggio ancora a protestare in piazza chiedendo allentamenti delle restrizioni, contrari a quanto fatto sino a qui da ben due governi differenti. D’altronde, che ci piaccia o no, abbiamo scelto di essere imprenditori e la soluzione sta nell’etimologia stessa di questa parola, che deriva dal latino volgare “imprehendère” e significa “farsi carico”, “assumersi la responsabilità”.
Al concetto di imprenditorialità è strettamente collegato quello di “rischio d’impresa”, che viene tendenzialmente visto come una spada di Damocle pronta a cadere sulla testa dell’imprenditore, mentre invece con un cambio di paradigma, potrebbe essere che corriamo il rischio che la nostra impresa funzioni! Ed in termini che non abbiamo neppure mai immaginato.
Il delivery, infatti, nasconde una serie di opportunità che vanno ben oltre le mura del nostro locale. Soprattutto se a questa modalità di servizio affianchiamo le tecnologie digitali che sono senza dubbio mature a soddisfare le nostre esigenze operative.
Pensiamo solamente all’incredibile, ed ancora inesplorata, possibilità di creare brand virtuali, estremamente verticali su una singola linea di prodotti, e completamente sganciati dalla nostra insegna fisica. Anche un pub di stampo irlandese, ad esempio, potrebbe proporre colazioni americane a domicilio, oppure panini vegetariani e vegani, o ancora gli aperitivi più in tendenza!
Il tutto senza entrare in alcun modo in contrasto con quanto espresso dalla sua immagine molto caratteristica e posizionata, ma creando nuovi spazi digitali tramite i quali comunicare in modo indipendente, le linee di prodotto ipotizzate sopra proposte.
Questo permette al locale di vivere tutto il giorno, ottimizzando spazi e risorse, senza perdere il proprio posizionamento principale. Ed inoltre con la possibilità di testare sul mercato, con poche centinaia di euro, nuove idee, investendo solo su quelle che si riveleranno effettivamente interessanti per il nostro bacino di clienti.
Inizi a comprendere anche tu la potenza che si nasconde dietro a questo mondo?