Per colpa di chi? Come siamo arrivati a pagare 20 € (in nero) per 6 ore di lavoro e come se ne esce.

20 euro in nero per 6 ore di lavoro: è questo che ha ricevuto un giovane di Modena alla fine del suo primo turno di lavoro.

Il caso, raccontato tramite le riprese effettuate dal 21enne di origini marocchine e prontamente pubblicate sui social, ha sollevato un’ondata di indignazione ed ha portato a un dibattito sul tema dello sfruttamento sul lavoro in Italia.

Il tutto ha generato ancor più scalpore perché arriva dopo mesi in cui titolari e gestori di locali denunciano a loro volta l’impossibilità di trovare collaboratori validi.

In primis la colpa fu del Reddito di Cittadinanza, misura ormai agli sgoccioli e la cui dipartita non ha comunque portato benefici evidenti al mercato del lavoro. Ecco dunque che si è tornati a parlare di Cuneo Fiscale, ossia della differenza tra il costo che deve pagare il datore di lavoro e quanto effettivamente percepito come netto in busta dal lavoratore. 

Certo, siamo davanti ad uno dei divari più alti d’Europa, ma da qui, a proporre 20€ per 6 ore di lavoro….

Poi c’è il tema della prova, che da subito viene portata dal ristoratore come giustificazione per la paga così bassa. Giustificazione che evidentemente non regge, in quanto il periodo di prova è un’istituto riconosciuto e normato in ogni contratto collettivo del lavoro, oltre che regolarmente retribuito.

Non può essere quindi che una persona venga pagata 3 euro l’ora perché sta svolgendo una prova, soprattutto se questa non è stata concordata, come ha confermato il lavoratore nell’intervista rilasciata al programma Morning News di Canale 5.

Oltretutto, com’è emerso anche dai numerosi commenti sotto i video sui social, l’utilizzo improprio del periodo di prova, spesso persino non retribuito, è un malcostume diffuso in molti locali. E talvolta viene utilizzato proprio in maniera sistematica per abbattere il costo del personale, sfruttando le persone in modalità “usa e getta”.

Eh ma si sa, i giovani d’oggi non hanno voglia di lavorare! 

Premesso che a queste condizioni passerebbe a chiunque la voglia di lavorare, se c’è qualcuno invece che le accetta è solo perché costretto, da una difficile situazione economica o da altre motivazioni personali, ma certamente non per passione e voglia di fare.

Ma oltretutto il mercato del lavoro è cambiato! Negli ultimi 3 anni il fenomeno delle Grandi Dimissioni che ha colpito tutto il mondo occidentale è un’evidente sintomo del cambio di paradigma avvenuto alla maggioranza di coloro che hanno scelto una forma di professione subordinata: la bilancia del rapporto tra vita e lavoro, ora pende prepotentemente verso la prima e se il lavoro non ti permette di vivere una vita più che dignitosa, allora meglio cambiare!

È in questo scenario che chi ha un’attività oggi deve calarsi con una mentalità proattiva: non sarà certo lo Stato a risolvere il problema.

3 consigli: 

1. Curare l’ambiente di lavoro e fare in modo che sia veramente un posto dove una persona possa voler lavorare, a prescindere dalla paga, che comunque dovrà essere adeguata;

2. Fare branding, ovvero farlo sapere, trasmettere i valori del proprio locale all’esterno…si possono utilizzare i social, magari dando voce alle persone che già lavorano con noi;

3. Curare l’inserimento: che è una prova per entrambe le parti.

Basta farsi la guerra!

Titolari di bar, di ristoranti, dipendenti, persino lo Stato…siamo tutti dalla stessa parte.
Facciamo squadra e miglioriamo questo paese!

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